L’inconscio dopo Lacan Il problema del soggetto contemporaneo tra psicoanalisi e filosofia

L’inconscio dopo Lacan

Il problema del soggetto contemporaneo tra psicoanalisi e filosofia

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A trent’anni dalla morte di Jacques Lacan, che cosa ne è della sua lezione sull’inconscio? In che misura essa si propone in continuità con l’inconscio di Freud e in che misura invece si può parlare di un vero e proprio inconscio lacaniano? Se poi è vero che in Lacan lo statuto dell’inconscio viene riscritto, in che cosa consiste la sua specificità? In che relazione, infine, l’inconscio di Lacan si situa con lo «spirito del tempo» del mondo contemporaneo e con le sue aporie, tanto nella clinica quanto nella società, nella cultura così come nel pensiero filosofico e scientifico? Un filo conduttore reperibile tra le righe dei diversi saggi è che l’opera dello psicoanalista francese è in grado di rilanciare la discontinuità introdotta dall’inconscio freudiano in una forma inedita. Accanto e assieme agli psicoanalisti, i filosofi ne sono i destinatari privilegiati, poiché l’inconscio, parlando da un luogo «altro» rispetto a quello della coscienza e della ratio metafisica pone anzitutto al filosofo la sua peculiare questione. Che cosa significa pensare, dopo la riscrittura lacaniana dell’inconscio freudiano, è dunque la questione cardinale, attorno a cui si snoda in questo testo il dialogo tra psicoanalisti e filosofi. Le articolazioni interne, relative allo statuto dell’inconscio come evento e interpretazione, come strutturato in forma logico-linguistica e come irriducibile a una legge universale, la questione femminile che accentua la dimensione «non-tutta» dell’inconscio, il rapporto tra l’inconscio e la scrittura, le sue manifestazioni anticipatorie nel campo dell’arte e della letteratura, e infine il suo statuto politico e la sua incidenza nel legame sociale, ce ne restituiscono tutta la ricchezza nelle sue linee nevralgiche.

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